Da divertimento a icona: il magico mondo del juke-box, mito del secolo scorso

L’affascinante storia delle “scatole urlanti” apparse per la prima volta il 23 novembre 1889

Con grammofoni, radio a galena e mangiadischi, condivide, come un mito, una sala del Museo della musica e dello strumento musicale di Lodi: il juke-box. Una grande scatola, simile a un armadio, molto popolare nel secolo scorso, che permetteva di riprodurre in modo automatico un brano musicale semplicemente introducendo una moneta o un gettone.
Oggi è un’icona, roba da collezionisti o appunto musei, emblema di una rivoluzione culturale nella storia della diffusione della musica leggera, ma 60 anni fa era in quasi tutti i bar e consentiva di scegliere la musica che si voleva e di ballarla in un locale pubblico.
Per ascolti secondo solo alla radio, il juke-box nasceva dal crescente interesse per i dischi in vinile e fino agli anni Novanta ha rappresentato la cultura pop italiana e fatto da colonna sonora agli amori adolescenziali.
Un giovane Adriano Celentano cantava “La felicità costa un gettone”, giornali e riviste pubblicavano fotografie di teen-ager che ballavano nei locali grazie alla musica che usciva dai juke-box, nei telefilm scorrevano corteggiamenti davanti alle “scatole urlanti”.
Per la generazione Z e Alpha, che hanno a disposizione YouTube e piattaforme digitali, il juke-box è difficile anche solo da immaginare. Non è così per chi è cresciuto tra gli anni 60 e ‘80. L’apparecchio, al suo debutto, era una scommessa ambiziosa, che solo poi, più tardi, il tempo e la storia avrebbero trasformato in scelta vincente e destinata a furoreggiare.
Bastava introdurre una monetina, digitare il brano preferito, tra quelli elencati in quella che oggi chiameremmo “playlist”, e il gioco era fatto. Un aggeggio magico, che nel 1936 faceva toccare un record di vendite alla prima azienda produttrice.
Così, gettone dopo gettone, il juke-box cominciò la sua ascesa. Inarrestabile. Partito dagli Stati Uniti, nel periodo più florido del “sogno americano“, finì per contagiare il mondo. Arrivò nelle scuole, nelle università, nei caffè, nelle sale da ballo, nelle mense, in spiaggia. Non c’era locale in cui mancasse e la fama di un cantante di allora dipendeva dalle monetine spese per ascoltare il suo brano. Erano ancora lontani stream e visualizzazioni.

La primissima macchina di questo tipo comparve il 23 novembre del 1889 al Palais Royal Saloon di San Francisco ma era molto diversa da quella impressa nei ricordi di boomers e millenials. Quel primo prototipo si presentava infatti come un fonografo che permetteva di ascoltare musica a poche persone e solo attraverso uno dei quattro tubi di emissione di cui era dotato. La nascita del juke-box, quello tanto caro a Fonzie in Happy Days, risale invece al 1927, fatto in legno e contenente, al suo esordio, un massimo di 12 dischi a 78 giri, disposti in una pila verticale dalla quale di volta in volta venivano estratti e suonati.
Nel giro di pochi anni, parte la rincorsa delle case produttrici per presentare apparecchi sempre migliori e accattivanti: la plastica prende il posto del legno, vengono aggiunti sistemi di illuminazione per renderli più “festaioli”, aumentano i brani selezionabili e “la scatola” acquisisce la tradizionale forma ad arco.
Nel dopoguerra, e verso i primi anni ’50, il juke-box registra il boom: i bar si riempiono e i giovani hanno voglia di scatenarsi a suon di musica. A cavallo col 1960, cominciano a prendere piede anche in Italia. Il successo è talmente grande e inaspettato che nel 1957 un quotidiano dedica un articolo alla “curiosa sparizione di monete da 50 e 100 lire” dal portafogli degli italiani (appunto, il costo per ascoltare una o tre canzoni nei juke-box).
Scorre il tempo e quello che nel nome voleva richiamare alla mente locali dove ballare, far chiasso e confusione, viene perfezionato. Comincia a funzionare con i dischi a 45 giri, il numero dei brani tra cui scegliere sale fino a 100 e i titoli vengono aggiornati rapidamente sulla base della hit-parade trasmessa in radio.
Tra il 1970 e il 1980 il juke-box raggiunge l’apice della popolarità. Il trend positivo, che porta con sé uno straordinario successo per la musica leggera, prosegue fin verso la fine del secolo, quando, già a partire dai primi anni ’90, comincia il suo declino, costretto ad abdicare di fronte a giradischi, riproduttori di cassette e walkman. Una rapidissima discesa, resa quanto mai inesorabile con l’arrivo di compact disc e, più recentemente, canali e piattaforme musicali.
Quello che era stato sostenuto da un battage pubblicitario senza tregua, un mezzo di ascolto collettivo e uno straordinario elemento di socialità e costume, finisce per cedere il passo al nuovo che avanza e al cambio delle abitudini: si preferisce far festa tra le mura domestiche e ascoltare musica con le “cuffiette”. Scompare. Relegato in un angolo, come tutte le cose vecchie che hanno fatto il loro tempo.
Restano però vive sul web tantissime immagini, scatti e fotogrammi, a testimonianza di una moda ma anche del suo ruolo di aggregazione, espressione del suo significato più profondo: il desiderio di compagnia e divertimento come reazione di comune entusiasmo per la fine della guerra.
Insieme al “flipper”, un altro mito dell’epoca, un biliardino elettrico anch’esso azionato con monete e gettoni, il juke-box ha segnato la storia dell’intrattenimento pubblico di un’intera generazione.
Nel cinema è stato utilizzato come cifra stilistica e culturale per raccontare emozioni, personaggi ed epoche. Nella musica, il suo regno, ha camminato al fianco di milioni di persone, attraverso canzoni iconiche che lo hanno fotografato in strofe e ritornelli. Ha ispirato il Festivalbar, una celebre manifestazione canora, ideata dal produttore e autore cremonese Vittorio Salvetti, che portava in piazza e davanti alle telecamere proprio gli artisti “più gettonati” sui juke-box.
E come è accaduto per internet, che ha introdotto modi dire e rivoluzionato il linguaggio dei giovani, nel suo piccolo, anche l’iconica “scatola urlante” ha fatto una cosa simile. Proprio dal suo caratteristico funzionamento a monete, derivò il termine “gettonato” per definire una canzone o un artista particolarmente apprezzati. Oggi, ovviamente, le cose sono molto cambiate e questa espressione è invecchiata. I più giovani, senza dubbio, userebbero il gergo “streammato”.