“Forse per la prima volta ci rendemmo conto davvero che la guerra ci toccava direttamente”. Così Piero Bassetti, primo presidente di Regione Lombardia allora quattordicenne, rievoca quel 24 ottobre 1942 quando Milano fu colpita dal primo bombardamento a tappeto in pieno giorno. Fino ad allora infatti gli Alleati avevano colpito solo di notte concentrandosi su obiettivi militari o infrastrutture logistiche come le linee ferroviarie e le fabbriche belliche. Morirono 150 persone, le case distrutte furono 52 ma l’impressione fu enorme e il panico si impadronì di tutta la città tanto che nel giro di poche settimane circa 300mila persone, quasi un terzo dei residenti, abbandonarono Milano e sfollarono in varie località della Lombardia. Quel giorno fu solo un assaggio di quanto sarebbe accaduto nei mesi e negli anni successivi. In tutto 300 missioni colpirono il capoluogo lombardo facendo 2mila morti e distruggendo quasi la metà degli edifici civili della città.
A raccontarlo è Ugo Savoia, già capocronista del Corriere della Sera, nel volume dal titolo “Bombe su Milano”. Un libro corale in cui l’autore fa parlare i testimoni ancora viventi (e sono insospettabilmente tanti, circa 50mila, i milanesi con più di 85 anni). Tra gli intervistati ci sono personaggi noti come Piero Bassetti, Marco Garzonio, Luca Beltrami Gadola o Natalia Aspesi e semplici cittadini mai balzati all’onore delle cronache ma le cui testimonianze si rivelano altrettanto vivide e preziose. Come Carla Trezzi, classe 1917, 105 anni portati benissimo, che faceva la telegrafista nel palazzo della posta di Via Cordusio e restò sepolta con una collega per qualche ora sotto le macerie. Volonterosi soccorritori le estrassero illese la mattina dopo e la signora Carla prese tranquillamente il tram per tornare a casa in zona Porta Venezia dove abita ancora oggi. O come Franco Cipolla, classe 1936 residente in Via Morgagni zona Loreto, che ricorda la devastazione operata quel sabato in Piazzale Bacone dove venne centrata una nota azienda di commercializzazione di vini uccidendo i lavoranti affogati nello stesso vino che aveva allagato il rifugio. La mattina dopo tutta la famiglia Cipolla si trasferì a Maccagno sul Lago Maggiore tranne il padre che restò a Milano per tenere aperto il laboratorio di conceria che gestiva in zona Lambrate. Vividi anche i ricordi di Natalia Aspesi, classe 1929, che abitava in una casa popolare in Via Giovio tra Corso Magenta e Piazzale Aquileia. Quel pomeriggio venne colpito pure il vicino carcere di San Vittore da dove, approfittando della confusione, fuggirono un centinaio di detenuti che si sparsero nelle vie limitrofe ben riconoscibili per la loro divisa da carcerati. La Aspesi non ricorda di aver avuto paura. “Il ricordo più vivo che resta di quel periodo – commenta la scrittrice – forse a causa dell’incoscienza di noi ragazzini, non è la paura ma la fame”.
Scorrendo le agili pagine della fatica letteraria di Savoia, si distingue una Milano ferita ma indomita, non solo negli edifici crollati e rifatti dopo la guerra, ma nello spirito dei suoi cittadini capaci di una straordinaria resilienza. Una Milano sempre capace di risorgere dopo ogni prova e di accogliere e integrare chi vi giunge in cerca di opportunità di vita, di nuove conoscenze e di crescita personale.