Quando Milano fu capitale. Quel primo (e unico) Vice Presidente della Repubblica Italiana

In questi giorni l’attenzione del Paese è concentrata sul Parlamento che in seduta comune con i delegati regionali sta procedendo all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Pochi però ricordano che la “nostra” Repubblica Italiana, proclamata in seguito al referendum del 2 giugno 1946, ebbe un precedente seppur fugace e lontano nel tempo. E protagonista ne fu un lombardo così come capitale fu Milano. La prima Repubblica Italiana nacque il 26 gennaio 1802 come naturale sviluppo di quella Cisalpina a seguito delle conquiste napoleoniche che sconvolsero anche gli assetti politici italiani come quelli di mezza Europa. Fu proprio l’allora Primo Console di Francia che, con la pace di Campoformido, diede alla Lombardia l’assetto territoriale attuale facendo arretrare sul Mincio il confine della ormai defunta Serenissima Repubblica di Venezia, che fino ad allora si spingeva a soli 50 km da Milano fino all’Adda. A Nord anche la Valtellina in quei giorni passa dai Grigioni alla Repubblica Cisalpina per poi confluire della Repubblica Italiana insieme all’Emilia e parte della Toscana.

Se il Presidente della neonata repubblica era ovviamente Napoleone, il vicepresidente e plenipotenziario era il conte milanese Francesco Melzi d’Eril, intellettuale illuminista di visioni liberali e moderate cresciuto nei circoli letterali milanesi di fine XVIII secolo ove erano protagonisti personaggi del calibro di Verri, Beccaria e Parini.  Ampio fu il contributo di Melzi durante il triennio repubblicano in favore di una reale autonomia dalla Francia della neonata repubblica. A lui si devono l'ammodernamento dell'amministrazione con l'apertura degli incarichi pubblici a tutti i cittadini senza differenze di censo, il concordato con la Chiesa Cattolica del 1803, l'avvio di una serie di importanti opere pubbliche che hanno lasciato un segno ancora ben visibile a Milano come il Palazzo dell’Accademia di Brera, l’Arco della Pace e la promenade di Corso Sempione che riproduce su scala più grande i Campi Elisi parigini. Certo non si trattava di una repubblica parlamentare come quelle moderne: assomigliava piuttosto a quelle che oggi con orribile neologismo vengono definite “democrature” ovvero una sorta di dittatura soft con poteri fortemente centralizzati. Interessanti però nella costituzione italica del 1802 la prefigurazione delle corporazioni economiche come portatrici di interessi legittimi e l’ossatura di base del moderno stato di diritto con la separazione dei poteri tra magistratura, governo (chiamato naturalmente “Direttorio”) e parlamento.

L’illusione di una riunificazione del Paese sotto un regime repubblicano però svanisce presto: nel 1805 Napoleone si autoproclama imperatore dei francesi e trasforma la neonata repubblica in Regno d’Italia facendosi incoronare re in Duomo il 26 maggio 1805. Ovviamente il vicere non poteva essere Francesco, noto per le sue idee saldamente repubblicane. Messo da parte seppur con cortesia, il Melzi si ritira perciò a vita privata e decide di non esternare più le sue posizioni politiche anche quando 10 anni dopo la stella del generale còrso tramonta per sempre e a Milano tornano gli austriaci.

La moderna storiografia ha rivalutato la figura di questo lombardo di larghe vedute, vero intellettuale europeo, patriota e statista che aveva ben chiaro quale fosse il destino delle genti italiane: confluire in una nazione unitaria e moderna ma non rivoluzionaria, laica ma non laicista, democratica, liberale. Non a caso molti lo accostano al Conte di Cavour che partendo da premesse ideologiche simili ottenne il risultato che a Melzi sfuggì con una buona dose di astuzia e probabilmente più fortuna. Ma quando si passa dal bel palazzo di Via Manin a Milano che oggi ospita la Fondazione Cariplo e dove il conte si spense nel 1816 o dalla stupenda Villa Melzi di Bellagio non si può non ricordare lo sfortunato primo (e unico) vicepresidente della Repubblica Italiana.