Dodicesima cartolina dantesca. Il mittente è Dante Alighieri. Questo il messaggio: “E quindi uscimmo a riveder le stelle" (If. XXXIV, 139 )
Viene dall’alta Val Brembana, e precisamente da Carona, l’artista che nel 1483 realizzò il bassorilievo marmoreo con il ritratto di Dante. L’opera, eseguita da Pietro Lombardo, si trova a Ravenna all’interno della tomba del Sommo poeta, morto esattamente 700 anni fa, nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321. Tanti gli artisti lombardi, dei più disparati campi, che nel tempo hanno reso onore all’autore della Divina Commedia: un’eredità e un patrimonio inestinguibile che il poeta fiorentino continua a riversare nella cultura italiana. Come ad esempio nel caso dello spettacolo di apertura della stagione 2020-2021 del Teatro alla Scala di Milano, trasmesso il 7 dicembre 2020 via streaming a causa delle norme per il contenimento della pandemia da Coronavirus, dedicato al celebre “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, verso finale dell’Inferno, a rimarcare la voglia di ripartenza dopo i mesi del lockdown.
Ripercorrendo la storia della fortuna di Dante nelle terre lombarde, tra i primissimi cultori della Commedia, si annovera un certo Beccario de' Beccaria. Uomo di cultura, “miles imprialis” e “legum doctor”, discendente di antica e nota famiglia pavese, città dove morì attorno al 1335. A lui, Dante stesso dedica una citazione, per quanto poco onorevole, ricordando un suo antenato, “Tesauro, quel di Beccheria [Beccaria nel Landiano] / di cui segò Fiorenza la gorgiera (If XXXII 119).
Nel campo delle arti visive, uno dei primi lombardi a cimentarsi con l’iconografia della maggiore opera dantesca fu probabilmente Franco de' Russi, miniatore, nato a Mantova verso il 1430. Alla sua arte si deve la fama di un codice della Commedia ritenuto fra i più bei codici miniati del poema, l'Urbinate latino 365, oggi alla biblioteca Vaticana.
Accanto a questi nomi, vanno annoverati personalità del calibro di Giuseppe Bertini e Giuseppe Bossi. Il primo fu pittore (Milano 1825 – ivi 1898) e personalità di rilievo nell'ambiente artistico milanese del secondo Ottocento, tra i fondatori del museo Poldi Pezzoli, di cui fu il primo direttore, e fu anche direttore della Pinacoteca di Brera. Al suo esordio artistico nel 1845 meritò il gran premio dell'Accademia di Brera col “Dante che consegna il manoscritto dell'Inferno a frate Ilario” (Milano, Galleria Civica d'Arte Moderna), per poi passare ad altri soggetti danteschi con l'Incontro di Dante. e Beatrice, e nel 1852, con la vetrata Dante e il concetto della Divina Commedia (alla Biblioteca Ambrosiana), che, esposta a Londra nel 1853, gli meritò il massimo premio e grandi elogi.
Il Bossi, nativo di Busto Arsizio (VA), oltre che pittore è stato scrittore e collezionista d'arte. Fu uno dei protagonisti del Neoclassicimso milanese accanto a Ugo Foscolo, Giuseppe Parini, Alessandro Manzoni e Carlo Porta, ma viene soprattutto ricordato per le sue opere pittoriche, tra cui disegni, abbozzi, schizzi, ritratti, scenette mitologiche ispirati poesia e al dramma antico e alla Divina Commedia. Come hobby, poi la raccolta dei codici della Divina Commedia. Il tipografo Luigi Mussi gli dedicò per questo motivo la sua edizione della Commedia uscita a Milano nel 1809.
Una citazione a parte merita anche Federico Faruffini, anch’egli pittore (Sesto San Giovanni, Milano, 1831 – Perugia 1869): famoso per la realizzazione di una tela dedicata ai personaggi danteschi Sordello e Cunizza e di altri disegni sulla Commedia.
Di rilievo l’opera svolta da Amos Nattini, pittore di origini genovesi, famoso per aver illustrato la Divina Commedia. Nel 1915 espose alla Permanente di Milano le prime tre tavole (Inferno canto XII, Purgatorio canto XXVII, Paradiso canto XXXIII).
Giusto onore va anche tributato ad Alberto Tallone, tipografo bergamasco (1898) che volle celebrare solennemente il centenario dantesco del 1965 con una fioritura di opere del poeta fiorentino. Una amorosa dedizione al poeta fiorentino che sfociò nella postuma, monumentale edizione della Commedia, pubblicata nel 1968.
In epoca moderna, fu il cinema a legare la Lombardia a Dante. “L'Inferno”, uscito nel 1911 in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, fu il primo film italiano a 5 bobine. Prodotto dalla Milano Films, società con sede a Milano alla Bovisa (attuale via Baldinucci) fondata da Luca Fortunato Comerio (Milano, 19 novembre 1878 – Mombello id Limbiate, 5 luglio 1940), fotografo, cineasta e regista italiano, pioniere del documentario e dell'industria cinematografica italiana, il film è composto 54 scene e lungo circa 70 minuti, narra con fedeltà la prima cantica della Divina Commedia con una serie di quadri animati ispirati alle illustrazioni di Gustave Doré . Definito “kolossal muto” fu il primo film a ottenere l'iscrizione nel pubblico registro delle opere protette e fu il primo a sfruttare un nuovo tipo di distribuzione basato anziché sulla vendita delle copie o sul noleggio, sulla cessione dei diritti in esclusiva per zone e paesi. Nella pellicola vennero impiegate grandi masse di comparse e grandiose scenografie, con alcune scene girate in esterno, presso il letto della Grigna.
In campo musicale, tanti sono i riferimenti ai personaggi della Divina Commedia: dalla Francesca da Rimini allestita al Teatro alla Scala di Milano il 2 giugno 1950, con il tenore bresciano Giacinto Prandelli nelle vesti di Paolo, al conte Ugolino. A lui è dedicato il brano per baritono dal Canto XXXIII dell’Inferno del bergamasco Gaetano Donizetti.
Pia de’ Tolomei compare, invece, nel dramma lirico in un atto La principessa prigioniera che andò in scena a Bergamo nel 1940. Ma è ancora una volta a un bergamasco, Gaetano Donizetti, che si deve la versione operistica più nota: sua la Pia de’ Tolomei, tragedia lirica in due parti del 1837.
Ispirata all’ultimo canto del Paradiso, la preghiera che Bernardo da Chiaravalle rivolge alla Vergine Maria – “Vergine madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura” -, il brano che il maestro Giuseppe Verdi arrangia, aggiungendo il canto di un coro femminile a quattro voci nell’Invocazione alla Vergine nei Quattro pezzi sacri del 1890.
Memorabile nel capolavoro del cremonese Claudio Monteverdi – Orfeo- il celebre verso di Dante “Lasciate ogni speranza, ò voi ch'entrate”, rievocato nel canto di Speranza a Orfeo, che si accinge a porre piede nella Città dolente per riportare alla luce la sua amata Euridice (Claudio Monteverdi, “Ecco l'atra palude” da L’Orfeo (Atto III).
Fu invece, Federico Caudana, dal 1908 organista e maestro di cappella presso la cattedrale di Cremona, a pubblicare giusto 100 anni fa due cori a cappella su versi danteschi: La Gloria del Paradiso (Pd XXVII 1-9) e Vergine Madre (Pd XXXIII 1-9 e 13-15). I versi “Noi leggevamo insieme”, del librettista lecchese Antonio Ghislanzoni, famoso per il testo dell'Aida di Giuseppe Verdi, diventarono canzoni composte, fra gli altri, oltre che da Giacomo Puccini, da Amilcare Ponchielli nel 1889. Al compositore cremonese si deve anche L'Italia e Dante, per voci e orchestra, Cremona, Teatro Concordia, 4 giugno 1865, opera oggi perduta.
E’, invece, il filone spirituale quello che ancora oggi risuona nelle stupende musiche di Angelo Branduardi che nel suo album “L’infinitamente piccolo” intitola un brano alla Divina Commedia – Paradiso, Canto XI. Questa canzone mette in musica i versi da 43 a 117 che narrano la vicenda di San Francesco, coraggiosamente mantenendo il linguaggio dantesco senza alterazioni.