Cartoline dantesche/11: Tre donne, una barca e una cappella

Undicesima cartolina dantesca. Il mittente è Dante Alighieri. Questi i messaggi:

 “Lucia, nimica di ciascun crudele/,si mosse, e venne al loco dov’i’ era” (If, II, 102)

Disse: Beatrice, loda di Dio vera, /ché‚ non soccorri quei che t’amò tanto” (If. II, 105)

Quivi è la rosa in che 'l verbo divino/ carne si fece” (Pd, XXXIII, 75)

Poste all’inizio dell’opera, sono tre – la vergine Maria, santa Lucia e Beatrice – le donne, prime protagoniste dell’opera, che soccorrono Dante smarrito nella selva selvaggia, ciascuna secondo una sua propria funzione.  (Ovvero, come ben spiega l’Enciclopedia dantesca Treccani, “la grazia è donata gratuitamente da Dio, ma non può operare senza la collaborazione dell'uomo, che vi deve impegnare le sue facoltà: volontà di salvarsi (Beatrice e amore) e ricerca dei mezzi necessari (Virgilio – intelletto – cultura e scienza”).

Soffermandoci sul il trittico Madonna-Lucia-Beatrice, (del mantovano Virgilio si è già scritto precedentemente, vedi Cartolina dantesca/5: “Dante, Virgilio e il mito di Mantua”), si possono trovare in Lombardia molti suggestivi riferimenti. 

E’ tutta “d’oro e piccina”, la Vergine Maria che nel 1934 cantava Giovanni D’Anzi, musicista e compisitore italiano, ne “La mia bela Madunina”, la canzone popolare che lo rese famoso nel mondo. Nato a Milano da genitori immigrati meridionali, nel suo inno alla Madonnina, la statua d'oro posta in cima al Duomo di Milano, riesce a legare la nostalgia per i lontani luoghi d’origine con la capacità del capoluogo lombardo di accogliere e offrire opportunità a quanti vengono a vivere sotto le guglie. 
Lontano dall’opulenza della statua meneghina, l’immagine con cui Dante descrive il suo incontro con la Vergine Maria è quello della “candida rosa”, fiore per eccellenza dedicato alla Madonna. Secondo la credenza, la Vergine era definita “rosa senza spine” – come quelle che si diceva crescessero nel Paradiso terrestre – perché nata senza peccato originale, quindi Rosa mistica. Il tema venne introdotto verso il 1200, nel Roman de L’Estoire de Graal di Robert Boron e da lì pervase la letteratura cavalleresca. Una devozione che vede oggi a Fontanelle di Montichiari (BS) uno dei principali centri. Protagonista e fondatrice del luogo fu Pierina Gilli, nona figlia di una modesta famiglia di contadini, nata a Montichiari nel 1911 e lì morta nel 1991, che dedicò tutta la sua vita alla venerazione mariana e alla cura dei sofferenti. Le sue esperienze mistiche sono ancora al vaglio dell’autorità ecclesiastica e solo recentemente il Santuario  diocesano Rosa Mistica-Madre della Chiesa  è stato ufficialmente riconosciuto. La località, in aperta campagna a tre chilometri da Montichiari, deve il suo nome alle sorgenti che scaturiscono e dove, come a Lourdes, si possono effettuare delle immersioni.  

Terza protagonista menzionata da Dante, santa Lucia, trova in Lombardia una omonima d’eccezione: il personaggio di manzoniana memoria, cui viene anche dedicata un tipo di barca del lago di Como. El batèl, come viene chiamato nella Tremezzina, lo  scafo dalle linee eleganti e slanciate, sovrastato da tre cerchi di legno usato per  il trasporto e per la pesca e che nei Promessi sposi viene descritto nella fuga da Pescarenico. Magnifici manufatti dell’imbarcazione sono conservati a Pianello del Lario (CO) al Museo della barca lariana, polo espositivo d’eccellenza che custodisce una raccolta di inestimabile valore per il settore nautico e per la storia d'Italia.
Ma tipicamente lombarda è anche la tradizione che vuole la santa siracusana portare doni ai bambini nella notte del 13 dicembre. Una festa ancora sentitissima e che anticipa l’atmosfera natalizia. La tradizione ha origini contadine e si tramanda nelle province di Cremona, Lodi, Mantova, Brescia e Bergamo, legandosi ad antichi riti del solstizio d’inverno. In tale circostanza nelle campagne era usanza che le persone che avevano avuto raccolti più abbondanti ne donassero una parte ai meno fortunati. Una forma di solidarietà che riecheggia anche nella storia di un presunto miracolo che risale al  XVI secolo. Si narra, infatti, che il Bresciano fosse stato colpito da una grave carestia e che alcune signore di Cremona avessero organizzato una distribuzione di sacchi di grano da lasciare anonimamente sulle porte di tutte le famiglie. Così una carovana di asinelli carichi raggiunse Brescia nella morsa della fame: ma poiché la distribuzione avvenne di nascosto, la notte tra il 12 e il 13 dicembre, si pensò che fosse stata una grazia della martire siracusana. L’antica ospitalità, poi, voleva che si accogliessero nelle case i pellegrini che cercavano riparo dal freddo e questi ultimi, a loro volta, prima di ripartire, dovevano lasciare un dono sulla porta della casa che li aveva accolti. Con il trascorrere del tempo si consolidò così l’usanza di fare regali in occasione del 13 dicembre. 

Ha invece solide basi storiche il legame tra la Beatrice di Dante a uno dei capolavori dell’arte rinascimentale milanese: la Cappella Portinari, annessa alla basilica di Sant’Eustorgio. Magnificamente affrescata dal bresciano Vincenzo Foppa, la Cappella fu commissionata da un certo Pigello Portinari. Figura di rilievo della Milano sforzesca, discendeva da una importante famiglia mercantile di Firenze, che vede tra i suoi capostipiti Folco Portinari, padre di Bice Portinari, ovverosia la Beatrice di Dante, la donna angelicata della Divina Commedia. Per quanto riguarda l’opera architettonica, spazio votivo per la reliquia di San Pietro Martire e cappella funeraria per il suo committente, si può trovare una certa simbologia legata al Paradiso. Come si legge nel sito del Museo diocesano, da cui si accede per la visita al locale, “le sue decorazioni pittoriche con episodi di facile e immediata lettura hanno il chiaro intento di insegnare con semplicità al popolo le virtù di san Pietro Martire e di spingere all’imitazione per una vita luminosa e degna del Paradiso”.