Seconda cartolina dantesca. Il mittente è Bonvesin de la Riva. Questo il messaggio:
"Essendomi accorto che non solo gli stranieri, ma persino i miei concittadini, come addormentati nel deserto dell’ignoranza, ignorano la grandezza di Milano, stimai doversi venir loro in aiuto, affinchè, svegliati, veggano e comprendano quale, e di quanta ammirazione degna, sia la nostra città". (De magnalibus urbis Mediolani)
Un doppio filo lega lo scrittore lombardo, Bonvesin de la Riva, al coevo Dante Alighieri. Ad avvicinare lo scrittore lombardo all’opera dantesca, il “Libro delle tre scritture”, composto prima del 1274. L’opera, suddivisa in tre cantiche, descrive una sorta di visione dell’al di là, attraverso le dodici pene della "scrittura nera", cui si oppongono dodici beatitudini della "scriptura dorata". Tra le due parti si inserisce, la "scrittura rossa", il racconto della Passione.
A legare ulteriormente i due scrittori, c’è anche il rapporto con le proprie città. Se da una parte, la Commedia dantesca è intrisa di riflessioni politiche sulla Firenze che costrinse il sommo poeta all’esilio, Bonvesin dedica un’opera – il "De magnalibus urbis Mediolani – Le meraviglie di Milano”– a celebrare i fasti della metropoli lombarda, allora una delle più popolose d’Europa. Si tratta di 8 capitoli, scritti attorno al 1288, ognuno dei quali elogia il capoluogo per una sua specificità. Bonvesin, che secondo la tradizione avrebbe abitato presso la parrocchia di San Vito in Porta Ticinese, ricorda infatti che a Milano c'erano 300 forni da pane, 6.000 sorgenti di acqua pura per alimentare le 12.500 case "con la porta sulla strada", 200 chiese con 480 altari e 120 campanili, oltre 200mila abitanti di cui 1500 notai, 120 esperti in diritto, mentre i medici (detti dal volgo "fisici") erano 28. Circa 150 erano gli albergatori.