In Lombardia questi sono i Giorni della Merla, tradizionalmente considerati i più freddi dell’anno, nonostante le massime oggi si aggirino intorno ai 12 gradi. Per alcuni il 29, 30 e 31 gennaio, mentre per altri gli ultimi due giorni di gennaio e il 1 febbraio, i Giorni della Merla affondano le loro radici in antiche leggende e riti propiziatori legati al mondo contadino.
Nelle province di Cremona e Lodi è tradizione riproporre, negli omonimi giorni, i canti popolari della Merla, riportando in vita, per una sera, l'antica tradizione contadina. In alcuni paesi, tra cui Meleti, Crotta d'Adda, Soresina, Trigolo e Cornaleto, si usa infatti riunirsi dinnanzi a un grande falò, in riva al fiume o sul sagrato di una chiesa, per intonare insieme al coro, spesso in abiti contadini, i canti popolari in dialetto, strutturati in modo da permettere un simpatico botta e risposta tra voci maschili e femminili. I canti sono spesso seguiti da un bicchiere di vin brûlé, che accompagna i cibi della tradizione (nel lodigiano, ad esempio, non può mancare la polenta con i ciccioli).
Sono tante le leggende intorno alla Merla, la protagonista di questi giorni. Una di queste racconta di un gennaio particolarmente mite. In quegli anni, i merli, che avevano ancora un piumaggio candido, sbeffeggiavano Gennaio per il fatto che l'inverno stesse finendo senza che ci fosse stato un gran gelo. Gennaio, offeso, si vendicò con l’arrivo di un freddo polare… da qui il detto “duù t'i dò, öön t'el prumetarò”, cioè “Due te li do (in riferimento agli ultimi due giorni di gennaio) e uno te lo prometto (Gennaio avrebbe infatti chiesto un giorno di gelo anche a Febbraio). Per il gran freddo i merli si dovettero rifugiare all'interno dei comignoli e le loro piume, da bianche, per la fuliggine, diventarono nere.
I cori della Merla derivano da un rito propiziatorio che era solito svolgersi nelle cascine cremonesi, in alcuni paesi anche fino agli Anni Cinquanta. La propiziazione riguardava il buon andamento dell’annata agraria, a partire dal primo raccolto dell’anno: il baco da seta. La preparazione del rito avveniva nelle stalle già a partire dalle sere che precedevano i giorni della Merla. Le donne, infatti, filavano la rocca con il compito specifico di preparare le pezzuole che sarebbero servite per avvolgere le uova dei bachi da seta. Coloro che partecipavano al rito della Merla si ritrovavano attorno alla catasta di fascine (la cosiddetta fasinèra). I giovani e gli uomini battevano con i bastoni i tavolati dei carri agricoli e sparavano a salve: tutto quanto produceva un forte rumore serviva ad avvertire l’altro gruppo, quello della cascina più vicina, dell’inizio del rito. Dopodiché, la donna che all’interno della comunità possedeva la voce più bella saliva sulla fasinèra, intonando il primo verso del canto della Merla ("Trà la ruca in mès a l'èra": "tira la rocca in mezzo all'aia"). Quindi si univano nel canto le voci di tutti i partecipanti. A conclusione del rito, il falò della fasinèra, sulla cui sommità veniva posta a bruciare una caricatura di una “vecchia”, a simboleggiare la fine del freddo e delle privazioni dell’inverno.
Grazia Barbieri