Del diavolo, grazie a un fortunato film, tutti conoscono l’outfit. Pochi però sanno sia conosciuto anche l’indirizzo: Corso di Porta Romana 3, Milano. Residenza nota, almeno fino a circa quattro secoli fa. Oggi non si hanno notizie al riguardo, anche se il portone che spalancava la porta degli inferi è ancora lì, a due passi dalla Torre Velasca, poche centinaia di metri dalle guglie del Duomo. Dietro all’austero ingresso di una dimora nobiliare, ci abitava Ludovico Acerbi, senatore e magistrato al servizio della corona di Spagna. Siamo nel 1615, pochi anni prima della terribile epidemia di peste eternata dagli scritti di Alessandro Manzoni. Di famiglia nobile, Acerbi compra il palazzo sito nel Sestiere di Porta Romana da Pietro Maria Rossi, conte di San Secondo, e lo fa restaurare in stile “barocchetto lombardo”, conservato oggi nella facciata con mascherine leonine ornamentali e balconcini in ferro (aggiunti, però, nel Settecento). All’interno, due corti porticate su colonne (la seconda in rococò con statue e rampicanti), il fronte su tre piani, ampi saloni in marmo con sculture, quadri di gran pregio, stucchi, specchi e tappezzeria di seta. Un vasto e luminoso scalone a tre rampe che conduceva all’appartamento padronale. Infine, il giardino arricchito con piante esotiche e fontane. Fra quelle mura pare si svolgessero sontuosi ricevimenti ai quali erano invitati nobili e dignitari meneghini. In una città resa cupa e spettrale dal diffondersi dell’epidemia, quando si passava nei pressi dell’attuale piazza Missori si poteva invece avvertire chiaramente il frastuono della musica e delle risate provenire da quelle finestre. Denaro e sfarzo, ostentati da un signore che le cronache dell’epoca descrivono come “né giovane né vecchio, né magro né grasso, né bianco né nero”. Sui cinquant’anni e di temperamento superbo, pare amasse ornarsi di gioielli e uscire, sempre alla stessa ora, con una carrozza trainata da sei cavalli neri pomposamente scortato da sedici staffieri sbarbati e in livrea verde dorata. C’erano abbastanza elementi per alimentare la fantasia popolare. Come raccontano Francesca Belotti e Gianluca Margheriti nel testo Milano Segreta, un contadino raccontò di essere stato invitato in quella casa e di avere visto molte “larve sedute a congresso da un uomo con aspetto di principe ma con la fronte infuocata e un occhio fiammeggiante”. Sotto alla Madonnina, prese quindi corpo il racconto secondo il quale gli invitati a quei baccanali non si ammalassero, forse perché, appunto, gli ospiti del diavolo non potevano che risultare immuni a quel terribile morbo la cui origine non poteva essere che satanica. Come spesso avviene, verità storica e credulità popolare, si mescolano rendendo meno immediato il confine fra l’una e l’altra. La leggenda intanto è arrivata fino a noi, grazie anche alla penna di bravi scrittori, come Fabrizio Carcano, che con il suo Gli angeli di Lucifero, ha costruito un romanzo giallo partendo proprio da una misteriosa profanazione della tomba del marchese che precede una serie di misteriosi delitti. O Veronica Crippa, che ha fatto ‘rivivere’ Acerbi nella storia dei suoi Santiago e Isabella che sognano una vita lontano dalla città piegata dalla peste. Di nuovo fantasia e realtà, superstizione e cronaca. E un indirizzo: Corso di Porta Romana 3. Dove qualche secolo più tardi, la storia ha fatto nuovamente capolino. Siamo nel 1848, il 20 marzo durante le “V Giornate” una palla di cannone austriaca colpisce la facciata di Palazzo Acerbi, ma anziché sfondare la parete, resta conficcata nel muro (è visibile ancora oggi, ndr). Forse i soldati del feldmaresciallo Radetzky non sapevano di aver sparato contro la ‘casa del diavolo’…