Carnevale, le maschere lombarde: luoghi, storia e folclore

Largo alla baldoria, all’ebbrezza, alla sana follia. E largo alle maschere dietro cui celarsi per burlare e per burlarsi, almeno per un giorno, almeno a carnevale. “Una maschera ci dice di più di una faccia” scriveva Oscar Wilde. E in effetti, le maschere carnascialesche della tradizione, che si nutrono di folclore e storia, dicono molto del sostrato culturale di una città, di un comune o di una località. La Lombardia ne vanta diverse: dalle più celebri, come ad esempio Meneghino, Arlecchino e Brighella, a quelle meno note, come i Balarì, il Gaget o il Re Gnocco. Tutte con una storia da raccontare…

Accompagnato dalla sua consorte, Cecca, a Milano, la maschera d’eccellenza è Meneghino. Inconfondibile il suo abito: tricorno, parrucca con un codino, giacca rossiccia, calzoni verdi al ginocchio e le immancabili calze a righe rosse e bianche. Noto dal '600, incarna il servo devoto, generoso e ligio agli ordini , ma sempre pronto a battersi in nome della libertà. Dedito all’onestà e allergico alla cupidigia, Meneghino è stato accolto dalla città milanese come maschera simbolo.

Spostandosi di qualche chilometro, a Bergamo si trova Arlecchino, arcinota maschera dal vestito a losanghe colorate, accompagnato da una mascherina nera, scarpe infiocchettate e un cappello di feltro decorato con un codino di coniglio. Pare che le sue gesta derivino da un personaggio buffone e indiavolato del Medioevo francese, approdato poi nella Commedia dell’arte italiana. Figura in evoluzione, nella tradizione veste i panni del servo sciocco che via via si affina, divenendo astuto e prediligendo l’inganno e il dispetto. Sempre in cerca di cibo, scorrazza stringendo tra le mani il “batocio”, un bastone di legno con cui mena botte nelle zuffe in cui si immischia. Suo fido compagno è Brighella, altra maschera bergamasca proveniente dalla Commedia dell'arte. Attaccabrighe e bugiardo di professione, ma anche vispo e acuto, è un servo, al pari del suo socio ‘multicolore’. Traffica in tanti altri piccoli affari più o meno leciti. Veste maschera e cappello neri, giacca bianca e pantaloni decorati con nastri verdi, il tutto al riparo di un candido mantello.

Sempre in zona bergamasca si aggira Gioppino, con i suoi tre grossi gozzi rubicondi. Il folclore vuole che sia nato a Zanica. Astuto, ma rozzo e generoso, si presenta con un grosso panno verde orlato, pantaloni scuri da campagnolo e cappello rotondo con fettuccia volante. Un po’ facchino e un po’ contadino, campa di guadagni occasionali, senza faticare troppo. Col tempo ha assunto anche una connotazione negativa, tanto che oggi chi viene apostrofato come ‘un giupì’ è una persona poco raccomandabile.

Da Bergamo a Crema il passo è breve e qui si trova il Gagèt. La maschera deriva dai campagnoli impacciati che sbarcavano in città per andare al mercato con la curbèla (una cesta) e l’oca, subito riconosciuti e apostrofati come “gagi”. Vestiti con abito scuro della festa, calze e coccarda bianco – rossa, indossavano un cappellaccio, fazzoletto al collo e zoccoli di legno, risultando buffi e goffi.

Dalla campagna cremasca si giunge nel mantovano, alla corte di un re robusto che indossa parrucca e corona, vestendo un mantello di ermellino sotto cui spicca un abito finemente lavorato; nella mano stringe un forchettone con un grande gnocco. Lui infatti è Re Gnocco, maschera di Castel Goffredo, nota dalla seconda metà dell’800.

A Pavia invece si festeggia con la Famiola, maschera portata in voga nell’800 dalla famiglia Colla. Abbigliata con giacca, gilet, pantaloni di panno rosso, calze a righe, parrucca e scarpe nere con fibbie settecentesche, Famiola con il tempo s’è arricchito con nuove sfumature, divenendo incallito frequentatore delle osterie pavesi che mena le mani con chi osa oltraggiare la sua famiglia.

Tarlisu e la sua fresca sposa Bumbasina incarnano il carnevale di Busto Arsizio. La prima maschera prende il nome da un tipo di tessuto bustocco di inizio '800, usato come fodera dei materassi. La seconda deriva invece da una tela per fare lenzuola. Restando a Varese, ecco sbucare Pin Girometta. Fu creata nel 1956 da Giuseppe Talamoni, un mascheraio della città, per partecipare ad un concorso bandito dalla Famiglia Bosina, che voleva trovare una maschera adatta a prender parte al Carnevale Bosino.

balarì e i maschèr (rispettivamente ballerini e maschere) popolano il Carnevale di Bagolino. I primi si presentano eleganti e danzanti, mentre i secondi, agghindati da vecchi, sbeffeggiano e indispettiscono. Infine, nel comasco, al Carnevale di Schignano, spuntano i bej (o mascarun) e i brut che rappresentano la divisione sociale rispettivamente tra uomini semplici e uomini malvagi.

 

M.V.