Un serpentone di 600 bancarelle che arrivano da ogni angolo d'Italia e che da nord a sud invadono tutto il cuore della città vecchia. La città di Brescia si prepara a celebrare il 15 febbraio i suoi santi patroni, i Santi Faustino e Giovita, rinnovando una tradizione secolare che dalle prime luci dell'alba fino a sera inoltrata, stando a recenti statistiche, coinvolge un numero impressionante di persone: si parla di non meno di 200.000 visitatori. La festa dei santi patroni della città si perde nel tempo così come la leggenda (sarebbe meglio declinarle al plurale) che li ha portati ad essere i protettori di quella che nel Risorgimento diverrà la Leonessa d'Italia.
La più accreditata narra che Faustino fosse il figlio di una famiglia molto ricca di origine pagana, motivo per il quale divenne immediatamente cavaliere. Affascinato dalla religione cristiana si fece battezzare e decise di predicare la parola del signore in tutta la zona che comprendeva Brescia e i paesi circostanti. Faustino, la cui vita è strettamente legata a quella di Giovita. Iniziò comunque ad essere perseguitato dagli altri nobili perché si rifiutò di fare sacrifici in onore degli dei.
Convertiti al Cristianesimo e battezzati da S. Apollonio (quarto Vescovo della città) che li accolse nella comunità dei primi cristiani bresciani, Faustino e Giovita si impegnarono a fondo nell’evangelizzazione tanto che, per l’incisività e l’efficacia della loro predicazione, vennero nominati presbitero (il primo) e diacono (il secondo). Proprio a causa della loro predicazione, durante il periodo della terza persecuzione voluta da Traiano, alcuni personaggi potenti della città, per paura che il Cristianesimo potesse diffondersi a macchia d’olio, invitarono il governatore della Rezia, Italico, ad eliminare i due futuri Santi col pretesto del mantenimento dell’ordine pubblico. Traiano, nel frattempo, morì e il governatore ritardò la cattura dei due in attesa del suo successore. Adriano divenne il nuovo imperatore e ordinò a Italico di procedere alla persecuzione di Faustino e Giovita che furono incarcerati per aver rifiutato sacrifici agli dei. Lo stesso imperatore, di ritorno dalla campagna militare nelle Gallie, si fermò a Brescia, chiedendo egli stesso ai due giovani di adorare il dio Sole ma loro rifiutarono, anzi, colpirono la statua del dio pagano. Fu allora che l’imperatore ordinò che fossero dati in pasto alle belve del circo. Vennero rinchiusi in una gabbia con le tigri ma le fiere rimasero mansuete, accovacciandosi ai loro piedi e questo miracolo sortì l’effetto della conversione di molti spettatori, tra cui la moglie del governatore Italico, Afra, che diverrà poi martire e sarà proclamata Santa. I giovani vennero allora scorticati vivi e messi al rogo ma il martilogio racconta che nemmeno il fuoco riuscì a sfiorare le loro vesti. Condannati infine a morte, vennero decapitati a Brescia tra il 120 e il 134 d.C. E furono sepolti poco distante dal luogo dell’esecuzione, nel cimitero di San Latino, dove in seguito sarebbe stata eretta la chiesa di San Faustino ad sanguinem, poi Sant’Afra, e oggi Sant’Angela Merici.
Le leggende non terminano qui.
Nel IX secolo si narra del miracolo della trasudazione delle spoglie di San Faustino e Giovita avvenuta durante la processione verso la chiesa di San Faustino Maggiore. Si dice che la processione si fermò nei pressi della chiesa e le reliquie dei due martiri cominciarono a trasudare sangue. Lo stesso duca Nano di Baviera, che partecipava alla processione, vide il miracolo e guarì da una malattia. Conseguentemente si convertì anche lui al Cristianesimo e regalò a Brescia un pezzetto della croce di Cristo, ora preservata all’interno del Duomo Vecchio.
Nel 1438 Brescia è sotto il dominio di Venezia ed è sotto assedio da parte dei Visconti di Milano che si avvalgono dell’esercito di Niccolò Piccinino. Il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, San Faustino e Giovita apparvero sulle mura del castello della città vestiti in abiti militari, come a proteggerla. Sorretti da questa presenza, i bresciani riportarono una vittoria eroica.
E da quell'anno la città li nominò, insieme, suoi patroni.