Mario da Corgeno, l’artista che scava nell’anima

L’arte e la cura, un binomio composto da elementi così uguali e così diversi ma con un unico obiettivo: mettere la persona al centro. Questo il fil rouge della mostra Verso l’immenso dell’arista lombardo di fama internazionale Mario Favini, alias Mario da Corgeno, in omaggio alla frazione del suo paese d’origine, Corgeno di Vergiate, dove è nato e tutt’ora vive e lavora. Scultore, pittore, disegnatore, poeta, già allievo e discepolo dei maestri Adriano Gajoni e Pietro Annigoni, Mario da Corgeno non è mai riuscito a saziare il suo istintivo, primordiale, bisogno di creare. Le sue opere vengono fuori dalla materia (marmo, legno, metallo), da una tela o da un tratto di matita su carta, irruenti come un grido disperato, dove corpi, titanici come delicati, si declinano in smorfie di dolore o di beatitudine estatica. Sentimenti ed emozioni che bene si coniugano con collaborazioni importanti, come quella con l’associazione di promozione sociale Invalbossa da anni impegnata nell’iniziativa Valbossa in Rosa dedicata alla prevenzione del tumore al seno cresciuta nel corso del tempo fino a coinvolgere, nel 2022 appena passato, ben 23 comuni della provincia di Varese. “Fin da bambino – ha raccontato parlandoci a margine della sua personale a Palazzo Pirelli – l’arte è stato il mezzo che mi ha permesso di esprimere tutto l’amore che ho dentro”. Un viatico per Mario da Corgeno, perché, ha spiegato, “di fronte alla sofferenza, per prima cosa in me nasce il desiderio di sollevare dal dolore chi lo sta provando. Solo dopo – ha osservato – nasce la mia arte, che mi ha aiutato ad esprimere questi valori”.

La mostra allestita al 26° piano di Palazzo Pirelli, visitabile fino al 21 gennaio, si compone di numerosi pezzi fra quadri e sculture, quasi una metafora della prolificità dell’artista, che ha avuto modo di osservare il professor Andrea Spiriti docente di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università degli Studi dell’Insubria, “non è segno di cinesi creativa, ma frutto di una volontà precisa di sperimentarsi. Mario Favini è un’artista – ha osservato – che non cede, né ha mai ceduto, a quella che a mio avviso è la più grande tentazione della contemporaneità, ossia la ripetitività riconoscibile. Cioè quando un artista si identifica con una tipologia, materica o di modalità di intervento figurativo, e quella riproduce per il semplice motivo quella riconosce il pubblico. Assolutamente legittimo, ma certamente diminutivo rispetto a quelle che possono essere le forze sperimentative di un artista”.

Mario da Corgeno invece “scava nell’anima”, come ha avuto modo di far notare Andrea Della Bella, giornalista, fra i curatori dell’evento realizzato al “piano della memoria” del Pirellone. Chi si pone davanti a una sua opera, ha scritto nella prefazione al catalogo della mostra, “deve sempre fare i conti con quel confine che c’è dentro in ognuno di noi. Di qua la realtà: fatta di gesti concreti, quotidiani, usuali, abitudinari. Di là i sentimenti, le emozioni, la sofferenza, il dolore e alla fine, dopo la cura, la gioia e la serenità raggiunta”.