Curare e saper fare: storia della Ca’ Granda di Milano

Pochi forse riescono ad immaginare che sotto le alte volte a mattoni rossi, dove oggi passeggiano giovani studenti con Ipad e tablet sottobraccio, un tempo si affollavano poveri stremati da fame e malattie. L’Ospedale Maggiore, oggi sede dell’Università degli Studi di Milano, ha ospitato uno degli ospedali più antichi d'Italia, fondato dal duca Francesco Sforza nel 1456, nella zona tra via Pantano e via Laghetto. Ancora meno sono noti i motivi alla base della sua origine. La sua fondazione è, infatti, legata a una riforma: la riorganizzazione della rete ospedaliera milanese, dispersa in numerosi, piccoli e poco attrezzati ricoveri (7 religiosi, 8 misti, uno laico), attorno a nuovo e grande ospedale.  Al momento della sua nascita, l'Ospedale aveva come obiettivo fornire assistenza medica gratuita ai più poveri, migliorando l'efficienza del servizio sanitario cittadino. Non tante strutture sanitarie minori, ma una singola grande struttura: la "Magna Domus Hospitalis", ancora oggi chiamata la “Ca’ Granda”.

Dopo il fallimento dell’impostazione voluta dalla Repubblica ambrosiana – che aveva subordinato l’amministrazione di tutti gli ospedali milanesi e diocesani a un collegio di 24 laici, 4 per ogni porta cittadina – attorno al 1450 la città si ritrovava alle prese con povertà, malattie e carenze strutturali che ancora affliggevano la popolazione, stremata da anni di guerre e di pestilenze. Il nuovo Signore di Milano, sotto la pressione dell’opinione pubblica e per dare onore al nuovo corso, accettò l’impresa, accantonando la continuazione dei lavori del Castello. Fu così che per trovare mezzi adeguati alla costruzione del nuovo ospedale si dovette trovare un espediente: fra i beni dei Visconti, passati nelle mani degli Sforza, si trovava un antico palazzo, situato tra la fossa interna e la chiesa di San Nazaro in Brolo che venne donato alla città. E’ il 12 aprile 1456, alla posa della prima pietra, il nuovo duca e Bianca Maria Visconti, sua consorte e risoluta promotrice della politica assistenziale signorile, tengono a battesimo l’«hospitale grando» o «maggiore».

Il progetto che Francesco Sforza affida al Filarete, non è solo una innovazione dell’architettura rinascimentale. A cambiare è anche il modo di concepire l’assistenza: non più atto caritatevole promosso da famiglie nobili e gestito da ecclesiastici, in un continuo e promiscuo scambio di favori, ma attività amministrativa della città, di cui l’edificio diviene un punto nevralgico all’interno dell’ideale costruzione della nuova città, la Sforzinda.

Il disegno politico si concretizza nella progettazione delle corsie di degenza e nella concezione dei servizi: ogni crociera è alta 10 metri, con grandi finestre per garantire un’adeguata circolazione d’aria attorno ai letti, che cono costruiti in legno con tanto di cassetti per la biancheria ai piedi e con bancone a lato. Ma soprattutto, ogni due posti letto, dietro alla parete si trovano delle stanzette – chiamate “destri” – per i servizi igienici, con acqua calda corrente e sistema fognario. Una vera eccellenza nell’Europa del Cinquecento.

La sua costruzione durò fino al 1805, quando furono definitivamente completati tutti gli edifici. Furono solo le bombe della Seconda Guerra mondiale, cadute tra il 13 e il 16 agosto 1943, ad interrompere l’attività assistenziale. E grazie a un’altra donna, l’architetto milanese Liliana Grassi, fu possibile recuperare ciò che era ancora recuperabile e reinventare la funzione. E così l’8 dicembre 1958, si aprì una nuova fase dell’edificio che divenne la nuova sede dell’Università degli Studi. E così il saper curare lasciò il posto al sapere e alla formazione dei giovani. E tramite fu proprio un medico, Luigi Mangiagalli: eletto Deputato nel 1902 e successivamente sindaco di Milano, insieme a un gruppo di cittadini milanesi riuniti nell’Associazione per lo sviluppo dell'Alta Cultura, si adoperò per realizzare la prima università cittadina, nella zona ad est del capoluogo lombardo, Città studi. Attualmente la Statale, come viene comunemente chiamata, ospita 77 corsi triennali, 64 magistrali, 33 Dottorati e 75 Master e oltre 65 Scuole di specializzazione. Nel 2020 erano iscritti oltre 62mila studenti e vi lavoravano circa 2 100 docenti 1 872 tecnici e amministrativi.